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Beata Chiara “Luce” Badano

Oggi - 29 ottobre 2024 - martedì della XXX settimana del tempo ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, la Beata Chiara Badano - conosciuta anche con il secondo appellativo di “Luce”, che ne indica l’alto spessore spirituale attraverso il simbolo della luminosità - giovane laica Focolarina. Chiara, questo il suo nome di battesimo, nacque a Savona, in Liguria, il 29 ottobre 1971, dai coniugi Ruggero Badano, camionista, e Maria Teresa, casalinga, vivendo la sua breve esistenza in famiglia, nel vicino paesino di Sassello (in provincia di Savona). Volitiva, tenace, altruista, graziosa e dai lineamenti fini, snella, grandi occhi limpidi e sorriso aperto, amava la natura, la neve e il mare, praticando molti sport. Fin da bambina mostrava un debole per le persone anziane, che copriva di attenzioni. A soli nove anni conobbe il “Movimento dei focolari”, ufficialmente “Opera di Maria”, un movimento internazionale di rinnovamento spirituale e sociale all’interno della Chiesa, che mira a contribuire all'unità della famiglia umana secondo il mandato evangelico, i cui membri sono detti “Focolarini”. Subito fu molto attiva in seno al movimento, entrando a far parte dei “Gen” (Generazione Nuova) l'espressione giovanile del movimento stesso, ed avendo modo di conoscere la fondatrice Chiara Lubich (1920-2008). Aveva l’abitudine di scrivere molto e tenere una sorta di diario, incentrato su una grande fede vissuta pienamente. Dai suoi quaderni traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la vita. Terminate le medie a Sassello si trasferì con la famiglia a Savona, dove si iscrisse al liceo classico. A sedici anni, improvvisamente, durante una partita a tennis, avvertì i primi lancinanti dolori ad una spalla. Le analisi mediche approfondite, dopo una prima più benigna ipotesi di “Callo osseo”, giunsero ben presto alla infausta diagnosi di “Osteosarcoma”, un tumore maligno che nasce prevalentemente nelle ossa lunghe vicino alle grandi articolazioni. Il cancro era molto aggressivo ed inutili furono gli interventi alla spina dorsale e la chemioterapia. Ben presto, Chiara, fu preda di dolorosi spasmi irrefrenabili, giungendo alla paralisi alle gambe, ma rifiutò la morfina che le avrebbe tolto la lucidità. Chiara accettò pienamente, fin da subito, la sua malattia e le grandi sofferenze psico-fisiche che la accompagnavano, offrendola interamente ed amorevolmente al Signore per tutte le varie necessità della Chiesa e del mondo. Si informava di tutto e tutto seguiva con la massima attenzione, non perdendo mai la fede e il suo abituale luminoso sorriso che onore faceva al suo appellativo di “Luce”. La sua stanza d’ospedale, e di casa poi, quando fu evidente che non c’era più nulla da fare e decise di tornare alla propria abitazione, diventarono “piccole chiese”, luoghi di incontro e di apostolato. Il suo esempio evangelico era coinvolgente e, dal suo letto di sofferenza, attraeva a sé e portava a Gesù e Maria giovani e adulti, con tantissime conversioni. Anche alcuni medici e infermieri che la curavano, sia atei che non praticanti, si riavvicinano a Dio. Scriveva nei suoi quaderni: "L’importante è fare la volontà di Dio... è stare al suo gioco... Un altro mondo mi attende... Mi sento avvolta in uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela... Mi piaceva tanto andare in bicicletta e Dio mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le ali...". Chiara Lubich, che la seguì da vicino durante tutta la malattia, in un’affettuosa lettera le pose il già evidenziato soprannome di ‘Luce’. Il vescovo di Savona pro-tempore, Monsignor Livio Maritano, così la ricordò dopo la sua dipartita terrena: "Si sentiva in lei la presenza dello Spirito Santo che la rendeva capace di imprimere nelle persone che l’avvicinavano il suo modo di amare Dio e gli uomini. Ha regalato a tutti noi un’esperienza religiosa molto rara ed eccezionale". Negli ultimi giorni, Chiara non riusciva nemmeno quasi più a parlare, ma volle prepararsi all’incontro con Gesù, “Lo Sposo” come lei lo chiamava amorevolmente, scegliendo personalmente quello che sarebbe poi diventato il vestito per il suo funerale, un abito bianco molto semplice con una fascia rosa alla vita. Lo fece indossare alla sua migliore amica per vedere come le sarebbe stato al momento opportuno, spiegò alla mamma come avrebbe dovuto essere pettinata, con quali fiori si sarebbe dovuto addobbare la chiesa e suggerì i canti e le letture della Messa. Voleva che il rito del suo funerale fosse una festa. Morì all’alba del 7 ottobre 1990, salutando la mamma con le ultime parole: “Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!”. È stata sepolta nella tomba di famiglia del paese d’origine. Da allora innumerevoli sono state le conversioni e la sua figura è ora nota in tutto il mondo. Valutate le sue eroiche virtù, a conclusione del regolare iter processuale, il pomeriggio di sabato 25 settembre 2010, ha avuto luogo il solenne rito della sua beatificazione nel santuario romano della Madonna del Divino Amore (in località Castel di Leva), presieduto dal cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso della celebrazione venne annunciata la data per la festa liturgica della Beata: il 29 ottobre. Auguri a chi porta questo nome e ne festeggia oggi l’onomastico.
Immagine: Foto di pubblico dominio di Chiara "Luce" Badano, scattata prima dell'insorgere della sua malattia nel 1987. L'originale si trova nella disponibilità della famiglia d'origine.
Roberto Moggi
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