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’A legge è ffatta p’ ’e fesse

Non tanto fessi ma poveri. Perché le persone ricche e potenti con tutti gli avvocati che hanno riescono sempre a farla franca.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Ci è presentato un proverbio, che sempre si è prestato in ogni tempo, a evidenziare le incongruenze della giustizia umana, per come le leggi promulgate sono applicate senza seguire il principio d'uguaglianza, conformandosi al ceto e alla potenza dei chiamati in causa, come a suo tempo asserì il saggista ed attivista politico-sociale George Orwell:
"La legge è uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale degli altri."
Perché l'ingiustizia della giustizia è uno degli spettacoli più ricorrenti nel teatro del mondo in generale e né da meno è quello italiano.
Un'uguaglianza, quella di un imputato chiamato in giudizio, che diventa molto relativa, se gode dell'efficace difesa di un collegio di avvocati, oppure di quella di un avvocato di ufficio, così che chi ruba miliardi arriva a essere visto e applaudito come un grande finanziere, mentre il ladro di polli è quello che conosce la galera.
La legge ha a che fare con le regole e i sistemi giuridici; essa è, infatti, una regola che specifica che cosa sia lecito fare e quello che è vietato. Le leggi governano gli usi e i costumi di ogni comunità, che sia rappresentata da una nazione, da un'orda di nomadi, o una tribù stanziale, che siano scritte, oppure oralmente tramandate.
Le leggi sono nate in seguito a comportamenti poco conformi, rispetto a quelle da osservare in qualsiasi comunità e, in proposito, ci perviene da 2.500 anni fa, ciò che scrisse Lao Tsu nel Tao Te Ching:
"“Più le leggi e l'ordine vengono resi prominenti, più ci saranno ladri e mascalzoni.”
Un concetto che può piacere a chi propugna, come dottrina sociale e politica, l'anarchia, ovvero l'abolizione dell'autorità costituita e accentrata, nonché di ogni forma di costrizione esterna e, che come antitesi, può essere interpretato come confusione e disordine caotico.
Un'utopia, quella presentata da Lao Tsu, alla quale può concorrere quello che affermò il filosofo Aristotele:
“Se sulla terra prevalesse l'amore, tutte le leggi sarebbero superflue.”
Ma, rispetto a ciò che espressero il grande filosofo cinese e il conterraneo a quello greco, impersonato da Platone, che invece si mantenne sul pragmatico, riguardo alla promulgazione delle leggi, asserendo:
“Le brave persone non hanno bisogno di leggi che dicano loro di agire responsabilmente, mentre le cattive persone troveranno un modo per aggirare le leggi.”
Tanto che "fatta la legge, trovato l'inganno", è un detto più che usuale.
In alcuni stati dell'epoca attuale, sono in vigore leggi che comminano la pena di morte, per reati ritenuti così gravi da meritare tale condanna.
Lo scenario in cui si pone la condanna capitale, presenta una delle peggiori aberrazioni sulle differenti mentalità, tra chi ha tenuto in vigore tale punizione e chi l'ha eliminata, ricorrendo a condanne ritenute più civili e più umane, così che ricordiamo, a tal riguardo. come il 30 novembre 1786, per decisione dell'allora Granduca Pietro Leopoldo, la Toscana fu il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte e la tortura.
Rispetto a tale esempio di illuminata civiltà, si presenta come una vera e propria abnorme assurdità la pena di morte nello Stato Pontificio, che fu praticata sino alla sua caduta, nel 1870.
L'ultimo giustiziato fu Agabito Bellomo, un brigante condannato per omicidio e ghigliottinato a Palestrina il 9 luglio 1870, due mesi prima della conquista di Roma da parte delle truppe sabaude.
Tuttavia, in quegli stessi ex territori pontifici, ora del nuovo Regno d'Italia, la pena di morte continuò ad essere inflitta ancora per vari anni, finché non fu abolita nel 1889.
Un ambiente, quello della Santa Sede, che restò sordo al famoso trattato "Dei delitti e delle pene" scritto dall'illuminista milanese Cesare Beccaria e pubblicato nel 1764, né fu influenzato dall'esempio del Granduca di Toscana.
Un saggio, quello del Beccaria, in cui leggiamo:
“Parmi un assurdo che le leggi che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio.”
Le cronache ci presentano innumerevoli errori di giustizia, con persone condannate ingiustamente a lunghe pene detentive, liberate e risarcite a volte in modo del tutto irrisorio, riguardo alla lunga vita libera negata.
Rispetto a quanti sono usi a bofonchiare "Tutti al muro", per come vorrebbero che la giustizia fosse amministrata, ci pensiamo se fossero riconosciute ingiuste delle pene capitali, con risarcimenti che forse potrebbero consolare i parenti, ma non i condannati?
Resta, come caso emblematico ad evidenziare quanto sopra, il caso di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, che rappresentarono un comodo capro espiatorio da una giustizia, che è un eufemismo considerarla miope, per gli interessi politici in cui era coinvolta, letteralmente assassinati per mezzo della sedia elettrica, perché accusati di una rapina mai commessa, e solo in anni recenti verrà ammessa l’iniquità di quel processo, del tutto politico e per nulla equo, senza che vi sia stata fatta, però, menzione alla loro innocenza.
Insomma, cari miei, riguardo ai tanti casi di giustizia applicata ingiustamente, se non apparteniamo alla congrega dei furbi e i danarosi, ma alla massa dei fessi e dei modesti, se non nullatenenti, non c'è soltanto da essere prudenti nell'osservare le leggi e i decreti promulgati, ma anche di sperare di non trovarci nel posto sbagliato, nel momento sbagliato., prendendocela dove finiscono i canestri, se fossimo inquisiti su un reato mai commesso.
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