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Fernuto nu guajo, n’accummencia n’ato

Fernuto nu guajo, n’accummencia n’ato.
Finito un guaio ne incomincia un altro. I guai e le disgrazie non si presentano mai da soli.
Il proverbio sottolinea la triste realtà di quando si entra in una spirale negativa, dalla quale è difficile sottrarsi, o venirne fuori, per i problemi che sembrano sommarsi.
Nulla calamitas sola, già dicevano gli antichi e ribadisce il detto che le disgrazie sono come gli starnuti, che poche volte vengono da soli.
Riguardo all'ineluttabilità di certe sventure, ben scrisse al riguardo Miguel de Cervantes:
"Le disgrazie cercano e trovano il disgraziato anche se si nasconde nell’angolo più remoto della terra."
Anche se non è detto che è sempre il disgraziato a essere cercato, come succedeva al protagonista del suo romanzo Don chisciotte, che le sciagure riusciva a procurarsele, combattendo contro i mulini a vento.
Perché nella vita, le disgrazie sono varie, da quelle inevitabili, a quelle che qualcuno riesce a procurarsi, con un comportamento poco positivo in qualsiasi situazione, che lo porta a recriminare e a lamentarsi per le disgrazie che non vengono mai sole, senza rendersi conto che, spesso e volentieri, se le cerca.
Nello scenario rappresentato dagli estremi, tra un'esistenza prospera e una sventurata, una triste realtà è rappresentata dal fatto che una vita comoda e senza inconvenienti, induce facilmente all'egoismo e al non curarsi delle disgrazie altrui, mentre quando sventure e sofferenze diventano comuni, sorge di nuovo una solidarietà che era stata fatta dimenticare dalla prospera vita precedente, così che il mezzo gaudio che caratterizza il mal comune, è dovuto al risorto benefico altruismo degli aiuti che vengono scambiati.
Un fenomeno che avviene nell'ambiente in cui si vive anche con persone poco conosciute, a prescindere dalla cerchia amicale a cui si riferiva nelle "Massime" François de La Rochefoucauld:
"Ci consoliamo facilmente delle disgrazie degli amici quando esse servono a mettere in luce la nostra sollecitudine per loro."
E a ribadire quanto sopra, leggiamo nel "Oracolo manuale e arte della prudenza" del gesuita, scrittore e filosofo spagnolo Baltasar Gracián y Morales:
"Il peso e la pena vanno divisi, perché la disgrazia sopportata da soli si raddoppia e diviene intollerabile."
E il detto "aver compagni al duol, scema la pena" non fa che confermarlo.
Ci sono persone che passano il tempo a recriminare sulle disgrazie che ritengono di avere, finché non s'imbattono in chi sta peggio di loro, che gli fa realizzare quanto sono fortunate, sempre che lo sappiano vedere, perché l'egocentrico inveterato riesce a dire "Beato te" anche a chi è più disgraziato di lui.
Perché le disgrazie hanno il pregio, almeno per alcuni, di migliorare e temprare le persone che vi incorrono, che hanno la capacità di interpretarle come le migliori lezioni apprese dalla vita, che le ha rese capaci di valutare quali sono i veri valori da apprezzare, fenomeno che non è comune a tutti, come leggiamo ne "Il mestiere di vivere" di Cesare Pavese:
"Non bastano le disgrazie a fare di un fesso una persona intelligente."
Che ben può riferirsi all'esempio precedente.
Prima del 2020, immaginavamo quanta umanità sarebbe stata cancellata sulla terra dalla pandemia che sopravvenne?
Che non bastava poi, con migliaia di lutti e gente a spasso, per il lavoro perso, e a sopperire alla mancanza, due insensate guerre continuano a provvedere nel cancellare vite e ridurre migliaia di quelli che restano vivi nella più nera povertà.
Quando volessimo illuderci che almeno qui da noi regna la pace, ci pensano i media, televisione in testa, ad informarci di quanto è malata la nostra società, tra catastrofi, crimini e uccisioni e non ci resta che pregare affinché, almeno nelle nostre famiglie, regni un po' di pace e di concordia, che non facciano sorgere la noncuranza e l'insensibilità verso chi sta peggio di noi.
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