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San Giustino, martire

Oggi - 1° giugno 2024 - sabato della VIII settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di San Giustino, martire. Iustinus (Giustino), questo il suo nome in latino, nacque attorno al 100 a Flavia Neapolis [letteralmente: “Nuova città di Flavio (l’imperatore)”], fondata dai romani nel 72 d.C. in Samaria, regione tra la Giudea e la Galilea nella Palestina romana (l’odierna Nablus, conosciuta anche come Sichem, una delle più grandi città della Cisgiordania sotto governo palestinese). La sua famiglia d’origine, verosimilmente oriunda romana o greca, si era presumibilmente stabilita da poco in Palestina, al seguito dell’esercito romano guidato dal generale e futuro Imperatore Tito Flavio Vespasiano (9-79), che nel 70 aveva sconfitto gli Ebrei e distrutto il Tempio di Gerusalemme. Giustino, di cultura ellenistica, fu educato nel paganesimo ed ebbe un'ottima istruzione greca e latina, che lo portò ad approfondire la filosofia, tanto da essere successivamente considerato - dopo la conversione - come un grande pensatore cristiano e uno dei Padri della Chiesa. L'itinerario umano del suo cambiamento di fede, passò attraverso l'esperienza pitagorica, aristotelica, neoplatonica e “stoica” [cioè pertinente alla “Stoa”, la scuola filosofica fondata da Zenone di Cizio (sec. III-II a.C.), da cui deriva lo “stoicismo”], fino allo sbocco nel cristianesimo. Al riguardo, raccontò egli stesso che, insoddisfatto delle risposte avute dalle varie filosofie e religioni pagane, si ritirò solingo in un luogo desertico in riva al mare, a meditare. Il suo isolamento andò avanti a oltranza, fino a quando un vegliardo, forse un anacoreta, al quale aveva confidato la sua delusione esistenziale, gli spiegò che nessuna dottrina poteva appagare lo spirito umano, perché la ragione è incapace da sola a garantire il pieno possesso della verità, senza l’aiuto divino. Fu così che Giustino, a trent'anni, scoprì Gesù e il suo Vangelo, se ne innamorò, ne divenne convinto banditore e, per proclamare al mondo questa felice scoperta, scrisse le sue due Apologie. La prima la dedicò, tra il 150 e il 153 circa, all'Imperatore Antonino Pio (dal 138 al 161) e al figlio di questi e suo successore Marco Aurelio (dal 161 al 180), oltre che al Senato e al popolo romano. Essa, oltre ad essere un’esposizione delle credenze e della vita dei cristiani, è una vera e propria protesta contro le persecuzioni degli stessi, non giustificate da alcun misfatto che potesse rimproverarsi loro. La seconda, molto più breve, è un’ulteriore protesta, indirizzata questa volta contro l’operato del prefetto e generale Quinto Lollio Urbico (II secolo), da molti ritenuta una semplice appendice della precedente. Le due Apologie sono senz’altro i suoi scritti più importanti, perché ci informano di come si spiegava la dottrina cristiana in quell'epoca e di com’erano celebrati i riti liturgici, in particolare del battesimo e del mistero eucaristico. In essi non ci sono argomentazioni filosofiche ma commoventi testimonianze di vita nella primitiva comunità dei fedeli. Scrisse anche altre opere, almeno otto, tra cui la più considerevole è il “Dialogo con Trifone”, ricordata perché apre la via alla polemica antigiudaica nella letteratura cristiana. Trifone è, da varî studiosi, identificato con Rabbi Tarphon o Tarfon, un ebreo appartenente alla terza generazione dei “Saggi della Mishnah”, che vissero nel periodo compreso tra l'assedio di Gerusalemme del 70 e la caduta della fortezza di Betar (vicino a Betlemme) nel 135. Questo dialogo, riportato nell'Apologia prima, sarebbe avvenuto poco dopo l'insurrezione degli Ebrei contro i romani, sotto il regno dell’Imperatore Adriano (dal 117 al 138). Ritenuto il maggiore apologista greco e cristiano del II secolo, fondò una scuola di dottrina cristiana e fu maestro itinerante di filosofia. Benché in lui manchi un profondo senso ecclesiologico, la sua filosofia costituisce uno dei primi tentativi di sistemazione intellettuale e teologica della fede cristiana, concepita in armonia con la ragione. Insegnò in varie città, maestro itinerante di filosofia. Arrivò a Roma sotto l’impero di Antonino Pio e qui fondò una scuola, che ebbe come discepolo il futuro apologeta Taziano (120-180) e trovò un duro avversario in Crescente, filosofo cinico (aderente alla corrente filosofica del Cinismo, che professava una vita randagia e autonoma, indifferente ai bisogni e alle passioni, fedele solo al rigore morale). A Roma, dove si era infine recato, Giustino venne denunciato proprio da Crescenzio, con il quale aveva disputato a lungo. Anche il magistrato che lo giudicò, Rustico, era un filosofo stoico, amico e confidente dell’imperatore Marco Aurelio. Giustino era felice di appartenere finalmente alla comunità cristiana: “ … Io uno di loro ... ” ebbe a dire. Una simile affermazione poteva a quei tempi costare la vita e, infatti, pagò a tale prezzo la sua appartenenza alla Chiesa. Ma per il magistrato, Giustino non era che un comune cristiano, al pari dei suoi sei compagni, tra cui una donna, tutti condannati alla decapitazione per la loro fede in Cristo. Morì martire a Roma nel 165 circa, altre fonti propendono per il periodo dal 162 al 168 circa. mentre era prefetto della città Quinto Giunio Rustico (163-67). Del martirio di Giustino e compagni si conservano gli atti autentici.
IMMAGINE: << “San Giustino martire”, icona russa a tecnica mista, olio e smalto su Legno, realizzata verso la fine del XIX secolo da ignoto autore di scuola russa >>.
Roberto Moggi
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