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Se cambiare può risolversi nel migliorare, perché non tentare?

Erasmo da Rotterdam, un teologo, filosofo e umanista vissuto tra il 400 e il 500.
Riusciremmo ad immedesimarci in una persona vissuta a quel tempo per capire meglio che cosa il filosofo intendesse per cambiamento e se questo personaggio vivesse ai nostri giorni, quanto i suoi concetti sarebbero uguali a quelli che enunciò ai suoi tempi?
Riuscire a cambiare il percorso della propria vita può risultare difficile e già immaginare un tale evento può incuterci un timore che ci trattiene da qualsiasi iniziativa al riguardo.
A volte ci pensa il destino ad imporci cambiamenti indesiderati prodotti da circostanze avverse e del tutto inattese. Avvenimenti che può risultare difficile sopportare, specialmente se non si ha più quella gioventù che aiuta ad affrontare le avversità con determinazione ed un'ottimistica visione del futuro.
Per Erasmo, non desiderare il cambiamento, significava crogiolarsi nella mediocrità e.quindi il cambiamento come un miglioramento della propria esistenza, ma se la vita che conduciamo ci appaga nella sua semplicità e ci aiuta a dare un senso al nostro vivere, perché cambiare?
Ma intanto pensiamo in generale alla vita che bene o male conduciamo e consideriamo, sempre che ci si riesca, che un fenomeno del quale non ci accorgiamo quasi mai, è quello di vivere come in un tunnel costruito dalle abitudini che abbiamo e che diventa sempre più costrittivo con l'avanzare dell'età, tanto che nulla potrebbe apparirci più tragico di un qualsiasi minimo cambiamento imposto dall'ineluttabilità delle circostanze.
Solo se ci succede una cosa del genere ci accorgiamo di essere preda di una fragilità che mai avremmo immaginato di avere.
Ma se non siamo soddisfatti della vita che facciamo e siamo convinti di non poterla cambiare e tanto meno migliorare, ricordiamoci sempre che abbiamo il potere di cambiare noi stessi e quindi anche la nostra visuale della vita.
Per cambiare, non serve cercare chissà cosa o andare chissà dove, ma basta restare dove si è.
Si racconta che dopo sette settimane di profonda meditazione sotto un Fico sacro, Siddharta Gautama raggiunse l’Illuminazione (Bodhi): uno stato di felicità duraturo per il corpo e per la mente e da allora fu chiamato Buddha che non significa altro che l'illuminato o il risvegliato.
Senza alcuna pretesa di essere capaci di tali estremi, se già ci esercitassimo in una mezz'ora di meditazione al giorno, potremmo constatare che il nostro stato d'animo migliorerà, anche se lentamente, facendoci raggiungere una serena visione della vita che ci indurrà a perseverare nella ricerca delle potenzialità che ignoravamo di avere e niente sarà più uguale a prima.
Ci tengo a precisare che non ho menzionato il Buddha come principale simbolo della filosofia (o dottrina) buddista, ma solo come un personaggio che aveva capacità particolari.
rm
#viverecome
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