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’O bbene vallo a ttruvà, ca p’ ’o mmale basta aspettà

Per avere un po di bene nella vita bisogna impegnarsi, anche con sacrifici, mentre per il male basta solo aspettare.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Tra i due estremi, che si presentano come forze contrapposte, in ogni manifestazione della vita, rappresentati dal bene e dal male, ci ricorda, il proverbio, di quanto ci si debba impegnare per conseguire il primo, rispetto alla facilità con cui il secondo spesso si presenta, senza nemmeno il bisogno di cercarlo.
E ben si adegua a tale concetto, quello che scrisse in proposito la famosissima pedagogista e educatrice Maria Montessori:
“La prima idea che il bambino deve apprendere, per poter essere attivamente disciplinato, è quella della differenza tra bene e male; e il compito dell'educatore sta nell'accertarsi che il bambino non confonda il bene con l'immobilità e il male con l'attività.”
Un'allocuzione che conferma pienamente il concetto espresso dal proverbio, riguardo a una inattività che può rivelarsi deleteria, come anche leggiamo in un'allocuzione di quel genio che fu il fisico tedesco Albert Einstein:
“Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvagie, ma per quelli che osservano senza fare nulla.”
Leggiamo nel web:
"Le forze del Bene e quelle del Male sono costantemente in lotta in ogni contesto. I filosofi di scuola orientale direbbero che la nostra percezione del Male è in realtà l’assenza del Bene: insomma il Male non esiste, siamo noi ad identificarlo come tale, a dargli un nome, a renderlo concreto associandolo a guerre, fame e distruzione. Siamo noi a dargli corpo legandolo alle fiamme infernali, al dittatore di turno, alla malattia. Siamo noi che pensiamo al Bene come antidoto e medicina per combattere l’esercito malefico sempre in agguato. Continuiamo ad agire come se la vita fosse una rappresentazione teatrale in cui non è possibile esistere se non contrapponendosi a qualcosa, come se il fatto stesso di vivere fosse generato e perpetrato da uno scontro eterno in cui le parti in causa non possono sopravvivere senza la controparte. Il Bene ha in sé ogni potenzialità del Male: inquietante. "
Il bene viene identificato da Aristotele come causa assoluta di tutte le cose, ma anche come causa finale, in quanto essa è contemporaneamente causa prima e termine ultimo di tutte le cose. Mentre il male consiste proprio nella privazione di questa tendenza della cosa verso la causa finale che è il bene.
Mentre per Kant, il bene consiste nella volontà buona, tesa al rispetto della legge morale; consiste cioè in un modo d'azione estraneo a ogni calcolo di utilità o di felicità immediata, a favore del rispetto di quel dovere che ogni uomo sente nella propria coscienza come un comando inesorabile.
Ci viene tramandato come Socrate professasse l'intellettualismo etico, come regola di condotta da osservare nella vita e che è l'ignoranza che induce a cercare il male.
Riguardo a come ci si dovrebbe comportare nella vita, recita un adagio che chissà quante volte abbiamo sentito:
"Fai del bene e scordatene, fai del male e pensaci"
E, riguardo alla prima esortazione, leggiamo tra gli scritti del filosofo Confucio:
“Non fare del bene se non hai la forza di sopportare l’ingratitudine.”
Che non fa altro che confermarla, per come spesso in seguito a una benefica azione, non si ottengano altro che riscontri negativi, rappresentati dall'indifferenza o dall'ingratitudine, se non la negazione del bene ricevuto.
Un concetto che leggiamo riproposto in una delle allocuzioni attribuite al grande drammaturgo inglese William Shakespeare:
“Il male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto insieme alle loro ossa.”
Tanto per rammentare quanto sia più facile ricordare il male, rispetto al bene.
Rifacendoci all'ignoranza definita da Socrate come la prima causa che favorisce il male, rammentiamo come in India, fin dai tempi antichi, esistano degli ashram, che non solo sono dei luoghi di meditazione e di preghiera, ma anche istituti in cui i fanciulli, oltre ai programmi scolastici che li prepareranno alla frequentazione delle scuole secondarie, sono istruiti nel padroneggiare il proprio sé, per mezzo di pratiche di yoga e di meditazione, che contribuiranno a far sì che nella vita futura siano più che consapevoli di quale sia l'etica morale e comportamentale da seguire. La maggior parte degli alunni, parteciperà alla normale vita sociale, impegnandosi nelle varie occupazioni offerte dalla loro società, mentre alcuni, spinti dalla vocazione, resteranno negli ashram, divenendo swami, ovvero monaci. Se questi ultimi saranno in grado di affinare la loro spiritualità, anche quelli che si guadagneranno l'esistenza con il lavoro, a parte le eccezioni, continueranno a saper distinguere il valore di una vita spirituale, rispetto a un'esistenza improntata alla materialità.
Fenomeni che non caratterizzano purtroppo tutta l'India, ma che hanno contribuito a farla definire una culla di religiosità.
Da noi, istituti del genere potremmo identificarli nei seminari, ma ritengo che sia una similitudine azzardata.
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