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San Pier Damiani

Oggi - 21 febbraio 2024 - mercoledì della I settimana del tempo di Quaresima, la Chiesa consente la commemorazione di San Pier Damiani, vescovo e dottore della Chiesa. Pier Damiani (o Pier di Damiano o Pietro Damiani), nacque nel 1007 a Ravenna, Signorìa governata dal locale arcivescovo con l'appoggio dell'aristocrazia cittadina, in forza di privilegi che riconoscevano alla Chiesa locale la cosiddetta “Autocefalia”, una forma d’indipendenza amministrativa da quella di Roma (oggi capoluogo dell’omonima provincia della regione Emilia-Romagna). Battezzato come Pietro e chiamato familiarmente Pier o Piero, era l’ultimo dei tre figli di una famiglia forse originariamente nobile, ma ormai decaduta e in miseria, tanto che in un primo momento, appena nato, la madre disperata fu costretta ad abbandonarlo, prima di ravvedersi. Rimasto orfano di entrambi i genitori, visse un’infanzia di stenti e sofferenze, anche se la sorella Roselinda gli fece da mamma e il fratello maggiore Damiano lo adottò legalmente come fosse un figlio (proprio per questo sarà poi chiamato Pier “Damiani” o “di Damiano”). Grazie all’aiuto del germano, riuscì ad avere una discreta formazione religiosa e culturale, studiando arti liberali prima a Faenza, non lontano da Ravenna, poi a Parma, nella limitrofa zona dell’Emilia (oggi capoluogo dell’omonima provincia della regione Emilia-Romagna). In quest’ultima città, verso il 1032, non appena terminati gli studi, si dedicò con successo all’insegnamento. Infatti, accanto a una buona competenza nel diritto, aveva acquisito una raffinata perizia in quella che allora si chiamava “Ars scribendi” (“Arte dello scrivere”) e, grazie alla sua buona conoscenza dei grandi classici latini, diventò uno dei migliori latinisti del suo tempo e uno dei più grandi scrittori del medioevo latino. Sebbene molto giovane, si distinse nei generi letterari più diversi, dalle lettere ai sermoni, dalle agiografie alle preghiere, dai poemi agli epigrammi. La sua sensibilità per la bellezza lo portava alla contemplazione poetica del mondo. Concepiva l'universo come un’inesauribile distesa di simboli, da cui partire per interpretare la vita interiore e la realtà divina e soprannaturale. Così, intorno al 1034, la contemplazione dell’assoluto di Dio lo spinse a staccarsi progressivamente dal mondo e dalle sue realtà effimere, per ritirarsi nell’isolato monastero detto “della Santa Croce” di Fonte Avellana, nella Marca di Pesaro (oggi provincia di Pesaro e Urbino, regione Marche). Il convento, tenuto dai frati eremiti della Congregazione Benedettina Camaldolese e situato sulle pendici boscose del monte Catria a 700 metri d’altezza, pur se fondato solo qualche decennio prima, era già famoso per la sua austerità. Qui, a edificazione dei monaci, scrisse la vita del fondatore dell’eremo, San Romualdo di Ravenna (951-1027), padre della Congregazione Camaldolese, diramazione riformata dell'Ordine Benedettino, della quale s’impegnò ad approfondire la spiritualità, esponendo il suo ideale del monachesimo eremitico. Pier Damiani era particolarmente affascinato dal Mistero della Croce, tanto da affermare che chi non ama la Croce di Cristo non ama Cristo stesso, qualificandosi “Petrus Crucis Christi servorum famulus” (“Pietro servitore dei servitori della Croce di Cristo”). In omaggio alla Croce, Pier Damiani compose bellissime orazioni nelle quali rivelò una visione di questo Mistero che ha dimensioni cosmiche, perché abbraccia l'intera storia della salvezza. Guardava sempre alla Croce come al supremo atto d’amore di Dio nei confronti dell’uomo, col quale ci ha donato la salvezza. Per lo svolgimento della vita eremitica a Fonte Avellana, prima lasciata un po’ al caso, redasse la “Regula vitae eremiticae” (“Regola di vita eremitica”), in cui sottolineò fortemente il “rigore dell’eremo”. In questa norma rilevava come, nel silenzio del chiostro, il monaco fosse chiamato a una vita di preghiera, diurna e notturna, con prolungati e austeri digiuni, esercitandosi in una generosa carità fraterna e in un’obbedienza al priore sempre pronta e disponibile. Nello studio e nella meditazione quotidiana della Sacra Scrittura, Pier Damiani scoprì i mistici significati della parola di Dio, trovando in essa nutrimento per la sua vita spirituale, mentre qualificava la cella dell’eremo come “Parlatorio dove Dio conversa con gli uomini”. La vita eremitica era per lui il vertice della vita cristiana, perché il monaco, ormai libero dai legami del mondo e del proprio io, riceveva “La caparra dello Spirito Santo e la sua anima si univa felice allo Sposo Celeste”. Quanto Pier Damiani, nella sua ascesa spirituale, ci ha lasciato in forma scritta, è molto importante anche per chi non è monaco. Invero, saper fare silenzio interiore per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire, “un parlatorio” dove il Padre Eterno ci possa parlare e ascoltare, apprendere la Sua Parola nell’orazione, nell’ascolto e nella meditazione, è la vera strada della vita cristiana. Pier Damiani, che sostanzialmente fu uomo di preghiera, di meditazione e di contemplazione, fu anche fine teologo. La sua riflessione sui diversi temi dottrinali lo portò a conclusioni importanti. Così, ad esempio, espose con chiarezza e vivacità la Dottrina Trinitaria, utilizzando già, per descrivere i rapporti tra le “Tre persone”, sulla scorta dei testi biblici e patristici, i tre concetti fondamentali poi divenuti decisivi anche per la filosofia occidentale: “Processio”, “Relatio” e “Persona” (Processo, Relazione e Persona). Egli spiegava inoltre come Cristo dovesse essere al centro della vita del monaco, ma non solo, specificando che la ricerca dell’intima unione con Gesù doveva impegnare non solo i religiosi ma tutti i battezzati. Pier Damiani sosteneva che la comunione con il Signore crea unità d’amore tra i cristiani, sviluppando, in una sua lettera che è un geniale trattato di ecclesiologia, una profonda teologia della Chiesa come comunione. Tuttavia, egli ben sapeva che l’immagine della “Santa Chiesa” da lui illustrata non corrispondeva alla realtà del suo tempo, per questo non temette di denunziare apertamente la corruzione esistente nei monasteri e nel clero, non omettendo di censurare con fermezza la prassi, da parte delle autorità civili, dell’investitura degli uffici ecclesiastici. In effetti, in quei tempi, molti vescovi e abati si comportavano da governatori dei propri sudditi più che da Pastori d’anime, e non di rado la loro vita morale lasciava molto a desiderare o era addirittura scandalosa. Così nel 1057, proprio per questi motivi, Pier Damiani lasciò con grande dolore e tristezza il monastero e accettò, pur con difficoltà e a malincuore, la nomina a cardinale e contestualmente a vescovo di Ostia, il porto di Roma, decretata da papa Stefano IX (dal 1057 al 1058) tra l'agosto e il novembre 1057, o secondo altri il 14 marzo 1058. Rinunciò alla bellezza dell’amata contemplazione monastica, solo per portare il proprio aiuto nell’opera di rinnovamento della Chiesa, entrando in piena collaborazione con i papi nella non facile impresa della riforma della Chiesa, intraprendendo con coraggio numerosi viaggi e missioni. Per il suo anelito alla vita monastica, dieci anni dopo, nel 1067, ottenne il permesso di tornare a Fonte Avellana, rinunciando alla diocesi di Ostia. Tuttavia la sospirata quiete durò poco, già due anni dopo fu inviato a Francoforte, nei territori tedeschi del Sacro Romano Impero (oggi in Germania), nel tentativo di evitare il divorzio dell’imperatore Enrico IV dalla moglie Berta. Poi, di nuovo due anni dopo, nel 1071, si recò all’abbazia di Montecassino (oggi in provincia di Frosinone, regione Lazio) per la consacrazione della locale chiesa abbaziale e, agli inizi del 1072, andò a Ravenna per ristabilire la pace con l’arcivescovo locale. Durante il viaggio di ritorno al suo eremo, ormai vecchio e stanco, fu costretto da un improvviso malore a fermarsi a Faenza, ospite della chiesa di “Santa Maria foris portam” (oggi conosciuta come Santa Maria Vecchia), ove morì nella notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1072, venendo seppellito sul posto. In seguito i suoi resti furono trasferiti nella cattedrale di Faenza, dove sono tuttora venerati. Pier Damiani fu venerato come santo sin dal momento della sua morte, anche grazie al contributo di molti grandi scrittori italiani, da Dante, che lo ricorda nel suo Paradiso, al Boccaccio e al Petrarca. Tuttavia, il suo culto (inizialmente circoscritto a Ravenna e a Faenza, di cui fu patrono dal 1512) fu formalizzato solo da un decreto di Urbano VIII del 1625 che lo estese alla Chiesa universale. Papa Leone XII, riconoscente per i suoi grandi meriti, nel 1828 lo proclamò dottore della Chiesa per i suoi numerosi scritti di carattere teologico, ascetico e agiografico, per i quali fu considerato uno dei più significativi scrittori dell'XI secolo.
Roberto Moggi
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